Questo libro ripercorre le vicende storiche dell’interdizione giudiziale in una delle fasi più creative del diritto europeo. Al crocevia fra elaborazioni teoriche e pratiche sociali, emerge il confronto – non sempre pacifico – tra saperi diversi. L’intreccio disci¬pli¬nare fra diritto e medicina impone, nella Francia rivoluzionaria, una costante ri-definizione dei contorni della follia. Tra antico e nuovo, è solo con la codificazione del diritto, nel 1804, che si verifica una vitale cesura con l’Ancien Régime: il Code Civil nasce in un’epoca segnata dalla tensione tra urgenze della riforma e nostalgie della tradizione. L’interdizione rispecchia bene queste ambiguità di fondo: con la sua duttile natura, si presta a soddisfare esigenze anche di segno opposto. In generale, è definita come mezzo di tutela del debole di spirito e al più della sua famiglia, ma non occorrono molti sforzi per tramutarla – all’occorrenza – in un congegno volto ad escludere ed isolare gli anormali, privandoli della capacità di disporre dei propri beni. Da istituto «saggio e utile» diventa così «misura infinitamente grave», «fonte di umiliazioni», da adottare solo quando l’intera società si sente minacciata dai comportamenti devianti. Per mettere a fuoco le questioni giuridiche più rilevanti, questo libro attinge a piene mani ai primi progetti del Code Civil, ai dibattiti che ne hanno animato i lavori preparatori, ai trattati di medicina e alle opere della dottrina e della giurisprudenza di quegli stessi anni. Dalla tutela dell’interdetto al consiglio di famiglia, dagli strumenti di controllo alla forza invasiva della legge, dall’iconografia giuridica del prodigo agli aggiustamenti mimetici degli interpreti. Tra persistenze e discontinuità. Sullo sfondo e all’orizzonte, storie familiari e individuali di ordinaria quotidianità.
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